Sabato scorso ho partecipato a una conferenza tenuta da Jaap Korteweg, imprenditore-agricoltore danese che ha fondato Vegetarian Butcher (Vegetarische Slager) nei Paesi Bassi. Quello che è nato come un piccolo, ben pubblicizzato negozio è ora una linea di prodotti vegetariani/vegani importante, con centinaia di punti vendita nei Paesi Bassi e che avrà presto una vera e propria fabbrica. I prodotti di Vegetarian Butcher hanno vinto numerosi premi e la loro storia ha suscitato l’attenzione dei media di tutto il mondo.
Dopo di lui, ho ascoltato Mark Post, pioniere della carne coltivata in vitro, anche lui originario dei Paesi Bassi. Post è il ricercatore che tre anni fa ha presentato ai media londinesi il primo burger di carne coltivata in laboratorio, che è stata una delle più grosse storie sulla carne e i suoi problemi nella storia di questo movimento.
Mark Post
Adesso. Né Korteweg né Post sono vegani e lo stesso vale per i loro investitori. L’ispiratore e finanziatore iniziale della ricerca di Mark Post, Willem Van Eelen, deceduto da poco, non era nemmeno vegetariano. E, per quanto ne so, non lo è neppure Sergey Brinn di Google, che ha donato a Mark Post $700.000.
Alcuni tra i più grandi propagatori della rivoluzione vegana, persone con un grosso impatto – o potenziale impatto futuro – non sono vegani, né credono necessariamente ai diritti animali. È importante capirlo per diverse ragioni.
Innanzitutto può aiutare noi vegani a rimanere coi piedi per terra. Potremmo pensare che quando finalmente il mondo diventerà un posto migliore per gli animali, sarà grazie al nostro duro lavoro e alla nostra etica. Ciò è vero solo in parte.
Inoltre, ci può far capire quanto siano relative le nostre differenze di opinione, le nostre ideologie, il nostro filosofeggiare e teorizzare su quelli che, da una prospettiva più ampia, sono spesso dettagli.
Al di sopra di tutto questo – e dovrebbe essere ovvio, ma ovviamente non lo è – dovrebbe farci capire che dovremmo accogliere chiunque in questo movimento, vegano o no.
I vegani da soli non vinceranno questa battaglia: è davvero troppo grande.
È arrivato il momento dell’anno in cui le organizzazioni ricevono la maggior parte delle donazioni da parte di simpatizzanti e sostenitori, è il momento in cui possiamo aiutarli tutti a portare avanti i nostri obiettivi comuni.
Ho già scritto in passato a proposito dell’importanza del denaro e delle organizzazioni. Promuovere gli interessi degli animali – o di chiunque altro – può essere fatto sul territorio e come volontari, ed è già una cosa meravigliosa, ma, per fare la differenza, abbiamo anche bisogno di organizzazioni più grandi. Queste organizzazioni devono pagare i loro dipendenti, si devono affidare al lavoro di esperti, hanno bisogno di farsi pubblicità per poter diffondere il loro messaggio, ecc. Più soldi hanno, meglio è.
Molti hanno un atteggiamento scettico verso la beneficenza, credendo (e spesso usando come scusa), che i loro soldi non verrebbero usati fare del bene e che invece si fermerebbero prima di raggiungere l’obiettivo, pagando per costi di rappresentanza o inefficienze del sistema. Senza dubbio ci sono delle perdite ed esistono organizzazioni inefficienti, ma ci sono anche delle organizzazioni ottime, dove le persone si fanno in quattro per fare la differenza e dove i leader pensano in modo strategico, con l’obiettivo di generare il maggior impatto possibile.
L’Altruismo Efficace, un movimento e una filosofia giovane, ha lo scopo di identificare le migliori cause, organizzazioni e interventi a cui donare soldi o tempo, sia volontario, che pagato. All’interno del movimento di Altruismo Efficace, ci sono meta-organizzazioni (vedi sotto) che fanno ricerca per individuare le migliori opzioni per fare donazioni efficaci, in grado di cambiare delle vite.
Confrontare cause e organizzazioni non dovrebbe essere un tabù. Quando compriamo un computer, facciamo un investimento in qualcosa che ci aspettiamo funzioni. Se c’è un ambito in cui a maggior ragione dovremmo insistere che i nostri soldi abbiano un ritorno concreto, è proprio quello di ridurre la sofferenza e salvare vite.
Ecco alcuni criteri che le persone che si identificano come “altruisti efficaci” usano per scegliere le cause e le organizzazioni da supportare:
quando scegli una causa, guarda il numero di vittime e l’intensità della loro sofferenza. La malaria, per esempio, uccide più persone di quanto faccia un disturbo neurologico raro. E alcuni problemi sono più orribili di altri.
considera il bisogno di fondi e il valore aggiunto della tua donazione. Un sacco di soldi sono stati raccolti per la SLA con la campagna di grande successo Ice Bucket Challenge. Forse è ora di donare a qualcos’altro.
dona a organizzazioni che lavorano per o nei Paesi più poveri, dove il tuo denaro può avere un impatto maggiore dato che i costi sono inferiori.
cerca i consigli degli esperti che hanno già fatto ricerca per te. Organizzazioni che consigliano no-profit alle quali donare sono per esempio GiveWell, The Life you Can Save, e – per la sofferenza animale – Animal Charity Evaluators.
Dal punto di vista dell’Altruismo Efficace, gli animali di allevamento sono un’ottima causa a cui donare. Non solo c’è un numero enorme di animali allevati che soffre immensamente, ma questa causa è anche molto trascurata. Di tutto il denaro donato negli Stati Uniti, solo l’1,5% va agli animali, e di questa percentuale già minuscola, solo l’1% va agli animali allevati. In pratica, gli animali allevati ricevono lo 0,015% delle donazioni negli USA.
Donazioni negli USA (fonte: Animal Charity Evaluators)
Infine, quando doni, dillo in giro. Tante di quelle cose che mettiamo sulle nostre bacheche Facebook servono solo a farsi quattro risate, ma siamo invece timidi quando si tratta di condividere le nostre buone azioni, perché pensiamo che sia una cosa che non si fa. Il fatto è che le persone si fanno un’idea di cosa significa comportarsi bene in base a quello che fanno le persone intorno a loro: quando vedono molte persone intorno a loro che donano, sarà più probabile che donino anche loro. Al contrario, se non vedono quel comportamento in giro, penseranno che non ci sia niente di male nel non donare. Quindi, quando doni, dillo agli altri, per rendere il fatto di donare una cosa normale. Per farvi un esempio: dono annualmente il 10% del mio reddito, circa 2500€. Quest’anno, tra gli altri, ho donato a Give Directly e The Good Food Institute. L’ho appena postato su Facebook. Non è facile farlo, perché ti esponi alla critica che vuoi mettere in mostra quanto sei bravo. Ma, come spero sia chiaro, non è quello l’obiettivo.
Forse non hai soldi da donare e fai volontariato. Benissimo. E forse non hai tempo, ma hai un po’ di soldi. Benissimo anche quello, perché con i tuoi soldi puoi pagare altre persone perché investano il loro tempo a rendere il mondo un posto migliore.
Grazie per qualsiasi cosa tu faccia, e buone vacanze!
Più tempo passo tra i vegani, più ho l’impressione che la maggior parte di noi abbia una specie di fissa vegan, cioè creda che mangiare cento per cento vegano sia la cosa più importante in assoluto, nella vita in generale o nel movimento per i diritti animali. Sembra che molti vegani, più o meno consciamente, credano qualcosa del tipo:
Chi è vegano non ne sbaglia una, Chi non è vegano non ne fa una giusta, e un vegano è sempre meglio di un non-vegano.
Ovviamente però, pensandoci bene, cosa ti metti in bocca è relativamente meno importante di tante altre cose. E non sto parlando di bambini che muoiono di fame in Africa o simili – lasciamo perdere quella discussione. Sto parlando di altre cose all’interno del movimento vegan/per i diritti animali.
Tanto per cominciare, chiunque può avere un grosso impatto sulle persone che lo circondano con il proprio modo di comunicare, il proprio comportamento, l’esempio, la cucina. Questo impatto è molto più importante, perché potenzialmente molto più grande, di quello che si mette nel piatto. Personalmente, se credo che avrò un impatto maggiore facendo un’eccezione, la farò (sfortunatamente ho i miei limiti ed è facile che certi cibi mi disgustino, quindi questo vale solo per quantità microscopiche di cibi animali).
Quello che entra nella tua bocca è meno importante di quello che ne esce.
In secondo luogo, non conta solo la comunicazione, ma anche quello che facciamo con il nostro tempo e i nostri soldi. Tra i non-vegani ci sono persone che dedicano molto tempo e denaro a cause per i diritti animali, come, senza dubbio, ad altre cause. Se ti fa piacere, puoi criticare queste persone per non essere vegane, ma tieni presente che il loro impatto potrebbe benissimo essere superiore al tuo.
Non mi fraintendere: continua a essere vegano (come lo sono io da 17 anni), ma non trasformare il tuo comportamento di consumatore in una fissa, a scapito di altre cose che potrebbero avere un impatto molto, ma molto maggiore sulle vite degli animali.
E no, ovviamente l’uno non esclude l’altro e possiamo essere consumatori vegani e fare pure tutte queste cose straordinarie. In pratica però, come tutti ben sappiamo, molta energia – pure troppa – si concentra sul consumo individuale. Ci preoccupiamo dei micro ingredienti come gli additivi e i coloranti e ci dimentichiamo dell’immagine di insieme. Ci focalizziamo su queste cose per “difendere il confine”, per proteggere noi stessi e il movimento dall’incubo di “arretrare” e diluire il significato di essere vegani. Ma quell’incubo è una finzione e ora come ora non dovremmo preoccuparcene. Se mai riusciremo a portare le persone a evitare carne, latte e uova (e ci riusciremo), sono sicuro che riusciremo anche a far scomparire additivi, miele e altri minuscoli derivati animali dal nostro sistema alimentare.
Focalizziamoci su ciò che conta davvero. Dedichiamo la maggior parte delle nostre energie laddove possiamo ridurre maggiormente la sofferenza.
Ti presento un enigma: alla gente non piace sentirsi dire cosa deve fare né sentirsi obbligata a fare qualcosa. Eppure, spesso le persone non faranno la scelta giusta di propria spontanea volontà. Qual è la soluzione?
Una possibile risposta è chiamata “architettura della scelta” (choice architecture), un’espressione coniata da Richard Thaler e Cass Sunstein nel libro Nudge. La spinta gentile. L’architettura della scelta è un modo per invogliare i consumatori a fare scelte migliori (più salutari, più sostenibili o altro) presentando loro le opzioni in un certo modo, per esempio mettendo le bevande salutari su uno scaffale più accessibile rispetto alle bevande zuccherate. Attraverso l’architettura della scelta, le persone sono gentilmente spinte nella giusta direzione.
Le aziende ovviamente usano questa tecnica da sempre, ma per perseguire i propri interessi commerciali. I supermercati, per esempio, metteranno i prodotti di marca (o sponsorizzati) ad altezza occhi, dove i clienti li vedranno per primi.
Quando diamo alle persone una spinta modificando l’organizzazione dell’ambiente in cui si trovano, le nostre intenzioni sono più benigne: quello che cerchiamo di fare è rendere più facile per i consumatori comportarsi nel modo in cui vogliamo si comportino, e rendere più difficili comportamenti indesiderati.
Un tipo di spinta gentile specifico è quello di cambiare l’opzione di default: quello che ottieni quando lasci l’ambiente come lo trovi. Per esempio, quando compili un formulario su un sito, ti sarà capitato di trovare una casella di spunta sotto il modulo che dice “iscrivimi alla newsletter”. Chi progetta il modulo può pre-impostare la casella come già spuntata. In questo modo chi compila il modulo e non vuole iscriversi deve de-selezionarla manualmente. Questo basterà per far sì che un maggior numero persone si iscriva alla newsletter (anche se in alcuni casi potrebbe essere illegale impostarla come automaticamente selezionata).
Un esempio nella vita reale è quello della donazione degli organi. Molto probabilmente nel tuo Paese l’opzione di default è che quando muori, i tuoi organi non sono donati ad altre persone che potrebbero averne bisogno. Quindi, se vuoi che i tuoi organi siano donati alla tua morte, devi compiere un’azione. Prova a immaginare se, al contrario, dovessi compiere un’azione per impedire che i tuoi organi vengano donati. In questo caso, dove i governi “presumono il consenso”, ci sarà una disponibilità di organi molto più alta.
Ecco un esempio nel nostro campo: i Giovedì Veggieday sono una campagna di EVA, l’organizzazione che ho fondato e per la quale lavoro. L’idea è molto simile ai Lunedì Senza Carne (Meatless Monday): che le persone comincino ad essere veg*ane per un giorno alla settimana. Gand, la città dove vivo, ha adottato questa campagna e ha reso i pasti vegetariani l’opzione di default del giovedì per le sue 30 scuole pubbliche. Se gli studenti vogliono la carne anche quel giorno (o se i genitori insistono), devono segnalarlo prima. Il risultato è che circa il 94% degli studenti mangia vegetariano di giovedì. L’opzione di default è cambiata.
L’immagine della campagna di EVA “Giovedì Veggyday”. La scritta dice “Per fortuna è giovedì!”
Ci sono molte situazioni e occasioni nelle quali si potrebbe istituire o almeno sperimentare con un’opzione di default vegan. Questa tattica potrebbe essere utilizzata ogni volta che un’azienda o istituzione offre dei pasti, ma non vuole togliere del tutto la “scelta” di mangiare cibi di origine animale. I pasti serviti a seminari o conferenze, per esempio, potrebbero facilmente essere vegan di default. Al momento dell’iscrizione, i partecipanti potrebbero vedere un’opzione come questa:
I pasti sono vegan. Metti una spunta se non vuoi un pasto vegan.
Una gentile spinta a fare la cosa giusta potrebbe essere rafforzata scrivendo qualcosa come “i pasti sono vegan per ragioni di sostenibilità ambientale”.
Cambiare l’opzione di default ha così un effetto doppio. Direttamente, riduce il consumo di prodotti animali. Indirettamente, mostra che essere vegani non è una cosa così anormale e che mangiare carne non è così normale, come pensano alcuni. Cambiare l’opzione di default contribuisce a rendere “vegan” la nuova normalità.
Penso che cambiare l’opzione di default sia una strategia molto promettente che dovrebbe utilizzata più spesso, particolarmente quando si spinge per un cambiamento nelle politiche.
Un post successivo dà un’altra idea concreta per cambiare l’opzione di default, che è anche una sfida da accogliere e rendere realtà per gli individui o le organizzazioni.
Sono ormai vent’anni che faccio parte del movimento vegan e per i diritti animali. Si potrebbe pensare che, dopo tutto questo tempo, io sia arrivato a qualche conclusione e abbia un po’ di certezze.
Beh, a quanto pare, meno del previsto…
Di recente ho infatti avuto moltissime nuove idee e altre sono state messe in discussione o scartate. Il primo motivo è che ho passato molto tempo a scrivere e a riflettere per il mio blog e il mio libro. Inoltre, sono stato influenzato dalla filosofia – e da molte persone – del movimento di Altruismo Efficace, nonché da Animal Charity Evaluators, Faunalytics, e dal movimento DxE (Direct Action Everywhere – Azione Diretta Ovunque).
Quindi, ecco qua alcune mie conclusioni (preliminari, ovviamente) ed alcune cose su cui ho cominciato a riflettere in tempi recenti.
1. Benessere e sofferenza sono importanti Come per molti di quelli che hanno a cuore i diritti animali, per me il punto erano i diritti. Oggi, ritengo che i diritti siano un’astrazione e un mezzo, utili solo nel momento in cui aiutano a evitare che degli esseri viventi vengano danneggiati. A un certo punto, “benessere animale” è diventato quasi una parolaccia nel nostro movimento, ma non dovrebbe esserlo.
2. Polli e pesci sono la carne che conta Polli e pesci sono di gran lunga le maggiori vittime del nostro comportamento come consumatori. Sono animali piccoli, quindi ne mangiamo tantissimi e soffrono terribilmente. Si meritano una parte importante delle nostre risorse.
3. Oltre il veganismo 1: la sofferenza degli animali selvatici dovrebbe ricevere parte della nostra attenzione Gli animali non sono solo maltrattati e uccisi dagli esseri umani: molti più animali soffrono in natura a causa di fame, freddo, predazione, parassiti e malattie. Se abbiamo a cuore gli animali, dovremmo preoccuparci anche degli animali selvatici ed pensare a quello che possiamo fare o potremo fare per loro in futuro. (vedi: La verità estremamente sconveniente della sofferenza degli animali selvatici)
4. Oltre il veganismo 2: la sofferenza va oltre gli animali umani e non-umani Pensando in termini ancora più ipotetici: grazie all’Altruismo Efficace, ho cominciato a prendere in considerazione la terribile possibilità che nel futuro vengano creati degli esseri artificiali senzienti (…ebbene sì.). Se cominciamo a pensarci e ad agire per tempo, forse possiamo prevenire un’immensa sofferenza nei secoli a venire. Dopo lo specismo c’è… il substratismo: non importa se sei a base di carbonio. Quello che conta è se sei senziente.
5. Ci sono cose più importanti che essere vegani Sì, certo, quello che ci mettiamo in bocca ha un impatto e, per carità, resta vegan. Ma essere un portavoce degli animali eloquente e amichevole potrebbe essere ancora più importante. (vedi Il feticismo di essere vegan)
Essere vegan significa rinunciare ai prodotti animali. Non significa rinunciare a pensare.
6. Il denaro è una risorsa decisiva Siamo tutti molto vegani, ma quanto doniamo? Parliamo di veganismo, ma se doniamo, ne parliamo in modo da incoraggiare altri a fare lo stesso? Con il nostro denaro possiamo avere un impatto molto maggiore che con le nostre personali abitudini di consumo. E guadagnare soldi per fare da sponsor ad altri portavoce degli animali, può essere un modo efficiente di fare meta-sostegno. (vedi È ora di donare e Money Money Money nel nostro Movimento)
7. Il movimento vegan potrebbe aver perso il ruolo di spicco Un tempo eravamo solo noi, il movimento vegan, a lottare per gli animali, ma ora, in modo più indiretto, il settore commerciale ha acquisito un impatto significativo: tutti gli Impossible Foods, gli Hampton Creek e i Beyond Meat… hanno avviato un processo di rivoluzione di un intero settore e stanno portando avanti cambiamenti incredibili. (vedi E se la vera spinta verso un mondo vegan non arrivasse dai vegani?)
8. La tecnologia e gli OGM accorrono in nostro soccorso Rivoluzioni tecnologiche possono dare il via a rivoluzioni morali. Esistono già alcune alternative ai prodotti animali molto promettenti, ma il futuro ci riserva molto di più. Un aspetto in particolare su cui ho recentemente cambiato idea sono gli OGM. Ero contrario perché non avevo mai davvero preso in esame il problema e avevo accettato ciecamente i pensieri e gli slogan dei miei pari. Grazie ad alcuni amici e a vegangmo.com, ho per lo più cambiato idea sull’argomento e mi rendo conto che gli OGM potrebbero essere di grande aiuto nel prevenire la sofferenza animale. “Naturale” non significa un granché. (vedi E gli OGM e le alternative hi-tech agli alimenti di origine animale?)
9. Dovremmo investire di più nella ricerca Dato che ci sono così tante incertezze e opportunità incessanti di scoprire cose nuove, dobbiamo investire abbastanza risorse nella ricerca e capire cosa funziona davvero. Dobbiamo farlo senza dogmi, aperti a qualsiasi risultato potremmo ottenere. Il che mi porta al mio ultimo punto…
10. L’apertura mentale è ancora più importante di quanto pensassi A giudicare dalla mia lista, vedendo la frequenza e l’importanza degli argomenti sui quali mi sono dovuto aggiornare, devo concludere che l’apertura mentale è ancora più importante di quello che pensassi. Sono davvero allergico ai dogmi. Se da una parte l’apertura mentale e l’opinione lenta ci portano a voler imparare sempre cose nuove e migliorarci, il dogma ci impedisce di imparare e migliorare – che è una cosa molto importante quando c’è così tanto in gioco.
Tutte queste domande senza risposta, questa evoluzione costante, questi dubbi e queste incertezze non dovrebbero paralizzarci. Ci sono tante teorie, strategie e tattiche promettenti. È un impegno di lungo periodo, possiamo rallentare un po’, testarle e analizzarle e poi, con le prove migliori che possiamo trovare, aggiornarci e dare più attenzione a una strategia o all’altra.
Essere vegan significa rinunciare ai prodotti animali. Non significa rinunciare a pensare.
La liberazione animale è forse la sfida più grande e più impegnativa che gli esseri umani abbiano mai affrontato. La posta è alta, le bistecche sono su ogni tavola e la montagna di lavoro ancora da fare sembra insormontabile. Eppure sono sicuro che vinceremo.
Ho appena partecipato alla conferenza sui diritti animali di Los Angeles. Una delle funzioni di questo tipo di conferenza – a parte scambiarsi informazioni, condividere le pratiche migliori e passare del tempo con persone simili a noi – è quella di ritrovare la motivazione, ricaricare le batterie e tornare a casa con più energia. Per questo, a queste conferenze ci sono ovviamente un bel po’ di discorsi motivazionali, applausi e festeggiamenti (che rischiano di essere un po’ troppo da sopportare per le nostre orecchie, in particolare per un Europeo in un mare di Americani).
Dopo tutto l’esultare e l’ascoltare buone notizie, lasciare la conferenza e tornare nel mondo reale è come una doccia fredda. Nei confronti degli animali vediamo ovunque crudeltà, o per lo meno indifferenza.
Tuttavia, sono d’accordo con il punto di vista espresso da molti relatori alla conferenza: stiamo arrivando a un punto di svolta e, per la prima volta, ancora a distanza ma sempre più vicina, possiamo vedere la fine del tunnel.
Permettimi di enumerare alcune ragioni per le quali sono convinto che vinceremo. Alcune ragioni sono vecchie, altre sono più nuove.
Non ci arrendiamo. L’impegno degli attivisti vegani per i diritti animali è impressionante, non siamo di certo un gruppo che sta per gettare la spugna. La compassione per gli animali e l’orrore che proviamo nel vederli soffrire fa andare avanti questo movimento. Sono certo che agli occhi degli altri potremmo sembrare a volte una manica di pazzi fanatici, ma basta uno sguardo a un’immagine o un video di creature che soffrono intensamente per mano umana, per rendersi conto che il nostro obiettivo è tutt’altro che fanatico.
Siamo più orientati ai risultati Negli ultimi anni (grazie a persone come Nick Cooney, Faunalytics, l’influsso del movimento di Altruismo Efficace, Animal Charity Evaluators, e altre persone e fattori), abbiamo cominciato a fare attenzione ai risultati – e a misurarli – invece che essere semplicemente soddisfatti di “fare qualcosa”. Stiamo facendo attenzione al rapporto tra input e output e ai ritorni sull’investimento. E quando alcuni di noi scelgono di dare priorità ai grandi numeri (come quelli degli animali d’allevamento), piuttosto che ai piccoli numeri (come gli animali nei circhi), è perché sappiamo che quei grandi numeri sono solo un gruppo più grande di individui che soffrono.
Ci siamo professionalizzati I giorni in cui questo movimento era un’accozzaglia di manifestanti che strillavano rabbiosamente slogan ai passanti o nei negozi, sono alle nostre spalle (anche se forse non del tutto). Siamo al tavolo di aziende e governi, assumiamo professionisti di grande talento, produciamo materiali video e stampa di alta qualità e abbiamo degli obiettivi misurabili. Professionale è il nuovo radicale.
La tecnologia può essere nostra alleata. La tecnologia può essere utilizzata per il bene o per il male. È stata usata per rendere più efficiente – e molto più crudele – allevare animali per il cibo, ma oggi possiamo vedere la nascita di tecnologie nuove e molto promettenti. Oltre a utilizzare la tecnologia per dare alternative alla carne che non siano il tofu (per esempio Beyond Meat, Gardein, Impossible Foods), c’è ovviamente la promessa della carne di laboratorio (o carne pulita, clean meat) per creare carne che sia indistinguibile da quella “vera”. Immaginate che rivoluzione sarebbe!
Si possono fare soldi salvando animali Che ci piaccia o no, il veganismo ha un lato positivo completamente nuovo: fare soldi. Alcuni imprenditori si sono accorti che è impossibile portare avanti il sistema corrente di prodotti animali e si stanno accorgendo che c’è sia merito che profitto nello sviluppo di alternative. Solo negli ultimi anni, gli investitori hanno messo letteralmente centinaia di milioni di dollari nel business dei sostituti della carne (e altri prodotti). È una cosa mai vista prima.
Grazie a questi e altri molti fattori e motivi, vinceremo. E quando vinceremo – tra chissà quanti decenni – questa vittoria sarà per tutti. Sarà una vittoria per gli animali e per il nostro pianeta. Sarà una vittoria per noi, le persone che stanno portando avanti questa battaglia, e sarà una vittoria anche per quelli che temono che ci perderanno qualcosa.
Fino ad allora, abbiamo del lavoro da fare.
Voglio citare uno dei relatori: È arrivato il nostro momento. Siate gentili. Siate compassionevoli. Siate positivi. E impegniamoci insieme.