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Ecco un’altra cosa in cui mi imbatto spesso:
Essere vegan è come essere incinta: o lo sei, o non lo sei.
Ha senso, se non ci pensi troppo. Perché quando ci pensi bene, smette di avere senso, da diversi punti di vista.
Questo tipo di visione in bianco e nero ha due problemi, il primo è strategico, l’altro è concettuale.
Il primo è che presentare l’essere vegano come qualcosa che sei o non sei, senza vie di mezzo, non è strategico. Ne ho già scritto in passato: far sembrare il veganismo una cosa binaria, significa escludere tutti quelli che vogliono unirsi per una parte anche consistente del viaggio. Tecnicamente è corretto classificare una persona che è vegana al 99,5% (diciamo che mangiano una fetta di torta non vegana a casa della nonna una volta l’anno) come non vegana, ma ovviamente questa persona è molto più vicina all’essere vegana che a non esserlo (o essere onnivora o vegetariana).
In secondo luogo, esiste una zona grigia, dove non è chiaro se l’uso o il consumo di certi prodotti o ingredienti escluda di fatto qualcuno dall’essere definito vegano. Proprio così, che cosa è vegano e cosa no non è del tutto chiaro e probabilmente è più un gradiente che altro.
Donald Watson, fondatore della Vegan Society nel Regno Unito, ha definito il veganismo una filosofia e uno stile di vita che cerca di escludere – per quanto possibile e pratico – ogni forma di sfruttamento o crudeltà verso gli animali per cibo, abbigliamento o altri scopi.
La condizione “per quanto possibile e pratico” è importante. Lascia spazio per una zona grigia e per la soggettività. Alcuni vegani pensano che quello che è possibile e pratico sia molto chiaro. Evitare una fetta di torta una volta l’anno è decisamente possibile e pratico: basta dire di no alla nonna, giusto?
Ma ciò che è possibile e pratico per una persona potrebbe non esserlo sempre per un’altra e non dovremmo cercare di decidere per gli altri che cosa è possibile e pratico per loro. Se non sei d’accordo e credi che quello che tu ritieni possibile e pratico lo sia per tutti, prova a immaginare una persona che ha studiato e applica attivamente le 320 pagine del libro Veganissimo. Che cosa risponderesti se ti dicesse che trova assolutamente possibile e pratico evitare tutte quelle centinaia di pagine di ingredienti problematici?
Quindi no, essere vegan non è come essere incinta. Così come i crudisti si dicono che lo sono al 70% o all’80%, lo stesso è possibile con l’essere vegani.
Qualcuno sottolineerà che il veganismo (al contrario del crudismo) è più che una dieta, cosa ovviamente vera, anche se la dieta ne è una grossa parte. Nel senso che il veganismo è anche una filosofia, un’etica, uno stile di vita, è una questione di tutto o niente, potrebbero obiettare queste persone. O rispetti i diritti degli animali, o no, direbbero loro.
Ma è davvero così? Prova a pensare al nostro comportamento verso le persone. Probabilmente nessuno di noi rispetta i diritti di tutte le persone sempre e comunque. La maggior parte di noi sono gentili e compassionevoli solo alcune (si spera quasi tutte le) volte. Spesso facciamo errori.
Dire che essere vegano o rispettare gli animali nei tuoi consumi e nei tuoi comportamenti è una questione di bianco o nero è chiedere una perfezione che ci è aliena. Possiamo solo cercare di essere sempre migliori. Non c’è un “lì”, non c’è un punto di arrivo. Ci siamo solo tutti noi, che ci muoviamo in una certa direzione e, si spera, portandoci dietro quante più persone possibile.
Vedi anche la mia risposta alle reazioni su questo articolo: Di cosa hanno così paura i vegani? (in inglese).
Traduzione di Eugenia Albano