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Pensavo che il mio articolo “Perché essere vegani non è tutto o niente” fosse scritto in modo piuttosto chiaro, razionale e compassionevole. L’ho scritto nella stessa ottica in cui scrivo tutto: invitare più persone possibile a unirsi a noi nel cercare di creare un mondo più compassionevole.
Nonostante questo, oltre ai numerosi commenti positivi e alle condivisioni, l’articolo è riuscito a far arrabbiare certi vegani a dei livelli che mi hanno sorpreso e persino scioccato. Non ti annoierò con i dettagli, diciamo solo che ho ricevuto diversi insulti (qui alcuni esempi, se non mi credete).
Lo trovo piuttosto triste, ma anche affascinante: è possibile che persone che sono dalla stessa parte litighino così intensamente? Come fanno alcuni a trovare così facilmente prove di tradimento in persone che combattono per la stessa causa?

Così ho provato a mettermi nei panni di quei vegani arrabbiati e ho cercato di immaginare cosa di quello che avessi scritto desse loro così tanto fastidio.
In primo luogo, sembra che alcune persone abbiano frainteso le mie intenzioni. Come ho detto, scrivo sempre con l’obiettivo di aiutare questo movimento ad essere più efficace nel raggiungere l’obiettivo della “liberazione animale” (o comunque lo vogliate chiamare). Potrei fallire, ma quanto meno questa rimane la mia intenzione. La mia preoccupazione principale non è certo quella di proteggere i sentimenti degli onnivori, o dare alle persone delle motivazioni o delle scuse per continuare ad usare i prodotti animali. Non sarei nemmeno contento di una liberazione animale o un veganismo parziali, al contrario, voglio andare molto più in là della maggior parte dei vegani e sono anche interessato alla sofferenza degli animali selvatici – la sofferenza è sofferenza, che sia inflitta dagli essere umani o no.
E ora, queste sono le paure che noto nelle reazioni delle persone quando suggerisco di essere pragmatici e un minimo flessibili nella nostra definizione del termine “vegan”.
1. La paura che il concetto di veganismo venga annacquato.
È normale che i vegani non vogliano sminuire l’idea di “essere vegano” o “veganismo”. Non vogliono che significhi altro che quello che significa (o quello che credono significhi): prodotti, cibo, consumi, uno stile di vita… che non includa animali. Credo che ci sia la paura di ritrovarsi con un’idea annacquata di questo concetto, dove “vegan” significa “quasi privo di sfruttamento o sofferenza animale”.
Due risposte. In primo luogo, come ho scritto, è un’illusione pensare che uno stile di vita vegan sia uno stile di vita che non infligga alcuna sofferenza a animali umani o non-umani (il fatto che questa argomentazione sia usata da chi mangia carne contro i vegani, non significa che non sia vero). In secondo luogo, dobbiamo aiutare le persone a fare il primo passo, non l’ultimo. Gli ultimi passi, i dettagli, si risolveranno da soli, quando i prodotti animali secondari diventeranno sempre più rari e costosi. Se riuscissimo ad ottenere una società 95% (o anche 75%) vegana non ci sarà alcun ostacolo a colmare le distanze. È inutile preoccuparsi ora degli ingredienti minuscoli e rendere il tutto più difficile, perché potrebbe benissimo impedire alle persone di muoversi.
2. La paura che la gente possa confondere cosa sia vegano e cosa no, e chi sia vegano e chi no.
Se un vegano fa un’eccezione (es. mangia un biscotto non vegano), rischia di confondere le persone e queste finiranno per non sapere veramente che cosa sia il veganismo o, peggio ancora, ci serviranno qualcosa di non vegano! Questa è l’argomentazione. Ciò che posso dire è che se questo è quello di cui ci preoccupiamo in questa fase del movimento, quando 65 miliardi di animali terrestri sono uccisi nell’industria alimentare ogni anno, allora dobbiamo davvero riorganizzare le nostre priorità. Dobbiamo pensare in modo molto più strategico.
3. La paura che i vegani verranno visti come incoerenti se mai fanno qualcosa di non vegano.
Quando per esempio presento il mio argomento delle lasagne, dicendo che per rendere l’idea del veganismo più accessibile farei delle minime eccezioni qua e là in casi speciali, alcuni vegani pensano che questo verrà interpretato come incoerenza (o, nel caso peggiore, ipocrisia). Lasciate che ve lo dica: la preoccupazione per l’incoerenza è prevalentemente nella nostra testa, non in quella di chi mangia carne. Quello che vedono gli altri è una cosa molto molto difficile; mostrare che in qualche caso speciale si possono fare eccezioni, fa sembrare noi e il veganismo più attraenti, non meno. Secondo me, la coerenza è spesso sopravvalutata. Questo non significa che dovremmo fare qualsiasi cosa ci passi per la testa, ma una coerenza al 99% va benissimo.
La questione è se questo tipo di paure siano abbastanza per spiegare le reazioni arrabbiate che ho ricevuto per quel post. Ho l’impressione che per molti vegani non sia in gioco semplicemente la definizione di veganismo, ma qualcosa di molto più profondo: trovo che, da un certo punto di vista, alcune persone percepiscano che una parte molto importante della loro identità è stata messa in discussione. Ne scriverò un’altra volta.
Un’altra cosa piuttosto interessante è che molte delle persone che continuavano a ripetere “o sei vegano o non lo sei” si riferivano ad altri ambiti, problemi, identità, immagine pubblica che a loro volta erano apparentemente bianco o nero. Eppure, in ciascuno di questi casi, ho visto un sacco di grigio. Una persona ha detto che un Cristiano o un Musulmano non è 95% Cristiano o Musulmano. Ma io penso l’esatto opposto: sia in termini della loro fede (mentale) che del loro comportamento (esteriore), le persone presentano diversi gradi di religiosità. Lo stesso vale per l’avere pensieri o comportamenti razzisti: pare che, in un modo o nell’altro, li abbiamo tutti.
Le reazioni spesso meschine mi hanno fatto capire con ancora maggiore chiarezza che essere vegani non è il punto di arrivo e che i vegani non dovrebbero affermare di essere migliori degli altri. Tutti noi possiamo aumentare la nostra compassione, possiamo aprire le nostre menti ad idee che non coincidono con le nostre. Se non siamo mai in grado di leggere, ascoltare, parlare o discutere con compassione, allora abbiamo davvero tanta strada da fare.
E non temere, anche io faccio parte di quelli che hanno ancora tanto da imparare.
Teniamo la mente aperta e crediamo nelle buone intenzioni degli altri.
Traduzione di Eugenia Albano